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Fare comunità: cosa possiamo imparare dal collettivismo asiatico e dal volontariato balinese

Spesso, parlare di comunità sembra riferirsi a grandi eventi o a progetti organizzati. In realtà, la comunità si costruisce ogni giorno, con gesti concreti e condivisi. Guardando alle culture asiatiche, e in particolare a quella balinese, possiamo scoprire un modo diverso di intendere la relazione tra individuo e collettività: un equilibrio in cui la partecipazione, la condivisione e il rispetto reciproco sono parte integrante della vita quotidiana.

Il collettivismo asiatico: l’io dentro il noi

Nelle società asiatiche, l’individuo non è mai concepito come entità isolata, ma come parte di un insieme più ampio — la famiglia, il villaggio, la comunità. È ciò che in psicologia culturale viene definito collettivismo: un orientamento in cui il benessere del gruppo prevale sugli interessi personali. Questo principio è centrale in molte culture dell’Est e del Sud-est asiatico, dalla Cina al Giappone, fino all’Indonesia.

Il collettivismo non implica la perdita dell’individualità, ma la sua piena realizzazione attraverso le relazioni. L’identità personale si costruisce nel legame con gli altri, nel riconoscimento reciproco e nella partecipazione alle dinamiche sociali. Questo approccio contrasta con la visione più individualista tipica dell’Occidente, dove l’autonomia e il successo personale sono considerati fini in sé.

Ngayah e Gotong Royong: il volontariato come pratica collettiva

A Bali, questo senso di collettività trova una delle sue espressioni più autentiche nella pratica del Ngayah, un tipo di volontariato tradizionale che coinvolge l’intera comunità. Non è semplicemente un atto di generosità, ma un impegno condiviso che rafforza le relazioni tra vicini, familiari e membri del villaggio. Le persone partecipano alla costruzione dei templi, alla preparazione delle cerimonie e ad altri lavori comuni, non perché sia un obbligo, ma perché farlo è parte della loro vita e della loro identità culturale (Santiyadnya, 2019; propulsiontechjournal.com).

Un concetto affine si ritrova in Indonesia nel Gotong Royong, che significa letteralmente “aiuto reciproco”. Si tratta di pratiche collettive di cooperazione volontaria in cui i membri di un villaggio o di una comunità si uniscono per realizzare compiti comuni, come la costruzione di infrastrutture, la pulizia degli spazi comuni o l’organizzazione di attività condivise. Ngayah e Gotong Royong condividono lo stesso principio: il lavoro collettivo come espressione di solidarietà e rafforzamento dei legami sociali. Entrambi mostrano come il volontariato diventi un veicolo di identità collettiva e coesione sociale.

In questa prospettiva, il volontariato non è tempo sottratto a se stessi, ma tempo restituito alla comunità. È un modo per alimentare l’armonia sociale, in linea con la filosofia balinese Tri Hita Karana, che mette in relazione tre dimensioni dell’esistenza: l’uomo, la natura e il divino. Partecipare al bene comune significa quindi mantenere equilibrio e benessere per tutti.

Arte e rappresentazioni: comunità vs. spettacolo per turisti

È utile distinguere tra il fare comunità autentico e le rappresentazioni o eventi destinati ai turisti. A Bali, molte cerimonie e danze tradizionali hanno un’origine comunitaria, legata alla religione, alla vita sociale e ai rituali del villaggio. Tuttavia, con l’avvento del turismo, alcune di queste pratiche sono state adattate per lo spettacolo esterno: eseguite a orari prestabiliti, pensate per essere viste dai visitatori e non per la partecipazione dei membri della comunità.

Gli studi etnografici mostrano che, mentre lo spettacolo turistico può contribuire all’economia locale, spesso riduce la dimensione partecipativa e trasformativa della pratica. Per esempio, le danze dei templi a Ubud possono essere adattate in versioni più brevi e scenografiche per il pubblico, perdendo la spontaneità e il senso di collaborazione che caratterizzano il volontariato e i rituali comunitari (Picard, 1996). Il valore originale non è la performance, ma il coinvolgimento diretto di tutti i membri del villaggio: cucinare insieme, costruire, decorare, suonare gli strumenti. È questo fare insieme che costruisce comunità, non l’esibizione destinata a chi guarda.

La struttura del villaggio come metafora del collettivo

Il modello urbanistico balinese riflette la stessa visione: le case sono disposte attorno a cortili comuni, spazi dove la vita privata e quella pubblica si incontrano naturalmente. Non esiste una netta divisione tra ciò che è “mio” e ciò che è “nostro”: l’interdipendenza è parte del paesaggio quotidiano. È un modo di vivere che favorisce la cooperazione e rende spontaneo il prendersi cura l’uno dell’altro.

Cosa può ispirarci oggi

Nelle nostre comunità, possiamo trarre ispirazione da questi modelli collettivisti e dai concetti di Ngayah e Gotong Royong senza rinunciare alla nostra autonomia. È fondamentale distinguere tra attività genuine di comunità e iniziative pensate solo per mostrarsi al pubblico. Aprire spazi comuni, condividere un progetto o collaborare su iniziative locali è un gesto concreto di partecipazione, mentre un evento organizzato solo per attrarre visitatori ha un valore diverso: può essere utile, ma non costruisce necessariamente legami autentici.

In altre parole, fare comunità significa creare partecipazione attiva e relazioni, non semplicemente organizzare rappresentazioni. Come in Bali e in Indonesia, il tempo donato agli altri non è mai perso: è il modo più concreto per ritrovare il senso di appartenenza e il legame sociale.

Il collettivismo asiatico e gli esempi di Ngayah e Gotong Royong ci mostrano che fare comunità non è una questione di grandi strutture o eventi pubblici, ma di mentalità e azioni quotidiane. È la scelta di mettere in comune, ascoltare e collaborare. Riconoscere la differenza tra partecipazione autentica e spettacolo esterno ci aiuta a valorizzare ciò che rende viva una comunità: il coinvolgimento reciproco e il lavoro condiviso.

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